Dal like a la realtà profonda
Il «like» che mi fa sentire meglio
Le apparenze, la ricerca degli applausi, il voler essere visibili per ottenere un «like». Oggi, Gesù esalta la povera vedova che getta nel tesoro del tempio delle monete di valore infimo, ma che rappresentano tutto ciò che possiede. Altri, invece, si vantano del rumore che fanno nel depositare molte monete nel tesoro, per far sapere che loro danno molto.
Valgo per i «like» che ricevo?
Purtroppo, questa dinamica dell’efficacia e dell’efficienza è molto di moda nei nostri tempi. Potremmo riassumerla con la formula: vali in base a ciò che apporti, doni o lavori. Più fai, più dai, e più sei valorizzato. È il principio della meritocrazia: la legge «invisibile» che ti guida verso il successo non risiede nei contatti che hai o in ciò che possiedi per eredità, ma dipende dai meriti personali.
La meritocrazia e i suoi limiti
In sé, questo sistema meritocratico ha la sua logica, poiché evita gli abusi di chi cerca di vivere di assistenzialismo, un modello che può creare dipendenza e non sempre aiuta a sviluppare le potenzialità di ogni persona. D’altro lato, previene anche certe dinamiche in cui persone occupano posti di responsabilità solo grazie all’amicizia o per avere il contatto perfetto che le «piazzi» dove vogliono.
L’impegno, la costanza, le abilità, le competenze e i talenti personali sono fondamentali in un modello basato sui meriti. Tuttavia, questi non dipendono solo dal lavoro individuale, ma da un insieme di fattori molte volte estranei alla persona, come l’educazione ricevuta e il contesto familiare e sociale di appartenenza. Anche questi elementi giocano un ruolo chiave nello sviluppo della persona, suggerendoci una realtà fondamentale, cioè che:
Siamo il frutto dei doni che abbiamo ricevuto
A partire dalla vita stessa, che nessuno ha meritato o scelto, riceviamo tutto gratuitamente dai nostri genitori, familiari e amici, poiché nasciamo completamente dipendenti. Questo significa che anche i successi personali e l’impegno che ciascuno mette per raggiungere i propri obiettivi sono frutto di un’educazione ricevuta. Ma, lungi dall’essere determinista, ciò che si vuole affermare qui è che la nostra libertà si dispiega all’interno di uno spazio che ci è stato donato.
Riflettere su questo ci porta a prendere coscienza del fatto che è preferibile sviluppare un atteggiamento di gratitudine verso tutto ciò che siamo e abbiamo, e fare leva su questa realtà per imparare a donare anche noi stessi.
Dal «like» alla gratitudine
Essere grati nasce dal riconoscimento di esserci sentiti amati e protetti, e che il nostro valore non dipende da ciò che siamo o facciamo, ma semplicemente dal fatto di esistere. Questo è ciò che succede con un neonato: non può fare nulla ed è completamente dipendente, ma i suoi genitori gli danno tutto non perché lo meriti, ma perché è lì con loro, frutto dell’amore che dà nuova vita.
Lo zaino che ci appesantisce
Con difficoltà, però, riusciamo ad applicare questa dinamica familiare all’ambiente lavorativo o sociale in cui ci muoviamo. Lì ci percepiamo come estranei gli uni agli altri. Il nostro sguardo non riesce a penetrare nella realtà più profonda delle relazioni che ci legano e rimane in superficie. A questo si aggiunge che, a volte, ci risulta difficile applicare questa verità anche all’interno della nostra stessa famiglia, poiché ciascuno di noi porta con sé uno zaino carico della propria storia, fatta di ferite ed egoismo, che ci trascina e limita la nostra capacità di amare.
In questo senso, non vale di più la povera donna che dà tutto ciò che ha nel tesoro del tempio né valgono meno coloro che si vantano di ciò che sono o di ciò che possiedono, cercando il «like» dello spettatore di turno.
È vero che il Vangelo di questa domenica ci ricorda l’importanza dell’umiltà, frutto del riconoscimento che tutto abbiamo ricevuto e che, così come abbiamo ricevuto gratuitamente, siamo chiamati a donare allo stesso modo.
Un invito a guardare oltre
Ma, oltre a tutto ciò, quindi, il racconto di questa domenica ci invita a fermarci e a fare un esercizio di riflessione e di immersione profonda, per non rimanere nella superficie di ciò che percepiamo con i sensi, e cogliere un’altra realtà invisibile agli occhi, che ci ricorda che siamo tutti membri della stessa famiglia, tutti degni di essere amati. Non dovrebbe essere necessario voler apparire per cercare elogi, cioè, per ottenere attenzione e sentirsi apprezzati, poiché siamo già frutto dell’Amore che ci ha dato la vita e che continua a farci fiorire.
Conclusione
La povera vedova non vale più degli altri; Gesù la prende come modello di persona «povera nello spirito» perché ha capito, ha guardato oltre, ha saputo leggere tra le pieghe della vita (intelligenza – inter legere), scoprendosi amata da un Dio che libera e vivifica, un Dio che ci dà già il suo «like» semplicemente per ciò che siamo, che non chiede sacrifici ma ci invita a crescere, a guardare nei nostri zaini per liberarci di ciò che non serve e a diventare più coraggiosi, maturi, e capaci di amare.